Torniamo sulla valutazione della riforma della PA, adesso approvata al Senato il 4 agosto, perché le modifiche intervenute alla Camera, dal punto di vista dell’innovazione con il digitale, che è qui il focus di analisi, sono state significative e di grande impatto sia dal punto di vista del metodo che del merito.
La legge delega ne è uscita, in quest’ambito, con un’identità innovatrice che prima non aveva, sulla base di principi che, nella precedente versione, non erano enunciati (l’unica eccezione è l’articolo sulla conciliazione dei tempi vita-lavoro, dove si è registrata una spiacevole regressione) e che la avvicinano a quell’obiettivo della “trasformazione esistenziale della pubblica amministrazione” dichiarato dal premier Renzi.
E se è vero che la valutazione finale potrà essere data solo a decreti legislativi emanati e ancor più a decreti attuati (i due passaggi chiave sui quali maggiori sono le insidie e minori le capacità dimostrate in generale nel passato), non c’è dubbio che la presenza di indirizzi “nuovi” consente di impostare il percorso successivo nel modo corretto, dichiarando guerra alla burocrazia e alla cultura dell’inadempienza, con una responsabilizzazione collettiva e pervasiva su tutti i livelli dell’amministrazione.
Le principali novità introdotte alla Camera
Quali queste modifiche, in gran parte anche evidenziate dal documento di sintesi prodotto dal Ministero per la Semplificazione e della Pubblica Amministrazione
Le principali sono relative soprattutto all’art.1, ma anche 2 e 7:
Da sottolineare è poi il metodo, non solo perché alcuni punti elencati sono stati promossi o condivisi anche dalle forze di opposizione, ma anche perché diversi provengono da iniziative della società civile che è riuscita a coordinarsi e dialogare efficacemente con la politica, che ha dato l’adeguato ascolto e attenzione, anche grazie al lavoro, culturalmente e politicamente fondamentale, svolto dall’intergruppo parlamentare per l’innovazione tecnologica. Esemplari i casi del diritto di accesso alle informazioni, oggetto di una iniziativa specifica delle organizzazioni aderenti a Foia4Italy, e i molti emendamenti sul CAD e sulla Conferenza dei servizi, realizzati grazie ad un lavoro collaborativo e in presenza con la partecipazione di molti esperti e promosso da Associazione Stati Generali dell’Innovazione e IWA Italy.
Gli altri punti rilevanti (con qualche ombra)
Queste modifiche si aggiungono a quelle già presenti nel testo modificato dal Senato a maggio:
Rischi e ombre
Il percorso parlamentare ha certamente permesso di fare molti passi in avanti, come si è brevemente descritto in precedenza, ma la mancanza di una visione organica iniziale non è stata del tutto superata. Tra i punti che sembrano più involuti, da questo punto di vista:
a) il tema delle competenze digitali, condizione essenziale per la cittadinanza digitale, che non traspare, comparendo solo in due citazioni di un comma. Forse specchio di un’attenzione al tema ancora non sufficiente (nonostante la maggioranza degli Italiani sia definibile “analfabeta digitale”) e però essenziale per l’esercizio di tutti i diritti, come richiamato ad esempio da Anna Ascani (PD) a proposito del Foia, dove diventa fondamentale “lo sviluppo della domanda da parte dei cittadini, per cui dobbiamo favorire e supportare la crescita della loro consapevolezza”;
b) la partecipazione dei cittadini, uno dei tre pilastri dell’amministrazione aperta, viene solo accennata come principio, ma non trova una rispondenza effettiva su specifiche previsioni di applicazione, come può essere la realizzazione di grandi opere pubbliche;
c) la collaborazione civica, che già si sperimenta in alcune realtà locali, non trova spazio nell’articolato;
d) il coordinamento informatico dell’amministrazione centrale, regionale e locale, già previsto anche dallo Statuto dell’Agenzia per l’Italia, che necessita rapidamente di approfondimenti e puntualizzazioni che consentano all’Agenzia di esercitare appieno questo compito (prevedendo un ruolo anche di analisi di fattibilità, di verifica nella progettazione e di coordinamento del collaudo degli interventi ICT, di vigilanza attiva e sanzionatoria, fino a spingersi verso una rivisitazione del ruolo e della struttura societaria delle in-house ICT, anche ampliando quanto previsto sul fronte del riordino delle società pubbliche).
Ma i rischi maggiori sono sul fronte della trasformazione adeguata dei principi della legge delega in decreti attuativi efficaci (come afferma Carlo Mochi Sismondi “la legge è solo un inizio del lavoro, ma la riforma andrà coltivata con cura, assistita, difesa prima che metta radici e foglie per poter dare, un domani, anche frutti buoni”) e sulla loro attuazione.
Sappiamo che una chiave di successo è nella capacità di gestione del cambiamento, cambiamento e trasformazione che non possono realizzarsi contestualmente a costo zero, ma che, come tutti i virtuosi processi di miglioramento, prevedono un iniziale investimento, un break-even e un beneficio economico successivo e duraturo. Ma anche capacità di ascolto e integrazione dei contributi e dei feedback dei diversi stakeholder, sia durante la redazione dei decreti sia durante la loro attuazione e il loro monitoraggio.
Per questo, è forse utile formulare un auspicio e una proposta: il governo potrebbe avviare, in occasione di questa riforma, che disegna la PA di domani, anche la prima reale esperienza di una collaborazione sistematica multistakeholder, valorizzando così quelle novità di metodo che sono alla base di molti aspetti positivi. Esperienza utile, ambiziosa, auspicabile, possibile.
Fonte: Agenda Digitale (www.agendadigitale.eu) - articolo di Nello Iacono